E’ possibile non pagare l’affitto a causa del Coronavirus ?

La risposta è, sostanzialmente, NO

A causa del Coronavirus il conduttore potrebbe trovarsi in difficoltà nel pagamento del canone.

Nel codice civile esistono norme che disciplinano e regolamentano situazioni eccezionali che si possono verificare durante il rapporto contrattuale.

Tra queste norme vi è l’art. 1256 Cod. Civ. il quale stabilisce : “l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile”.

Ad una prima lettura si potrebbe interpretare tale norma nel senso che, a causa dell’epidemia, non certo imputabile al debitore, la sua obbligazione di pagamento si estingua, essendo divenuta impossibile.

Non è però così.

Per la giurisprudenza infatti, il pagamento di una somma di denaro non può mai risultare oggettivamente impossibile.

Mai può prospettarsi, per carenza di denaro, l’impossibilità (liberatoria) della prestazione (ex pluribus Cass. 15/11/2013 n. 25777).

L’impossibilità, che ai sensi dell’art. 1256 C.C. estingue l’obbligazione, può verificarsi solo quando la prestazione abbia per oggetto un fatto, o una cosa determinata, o di genere limitato, e non già una somma di denaro (Cass. 30/4/2012 n. 6594).

Si pensi all’obbligo di consegna di un quadro andato completamente distrutto, incolpevolmente, in un incendio.

La nota pandemia non ha quindi comportato (in senso tecnico-legale) l’impossibilità sopravvenuta della prestazione di pagamento.

Non vi è alcun inadempimento da parte del locatore, perche egli continua ad offrire regolarmente la sua prestazione (e cioè l’uso dell’immobile).

Non vi è impossibilità della prestazione, per il conduttore, perché la sua obbligazione, che è il pagamento del canone, non è legalmente “impossibile” per i motivi sopra visti.

Gli eventi imprevisti ed imprevedibili han fatto si, però, che la obbligazione del conduttore sia divenuta particolarmente onerosa dal punto di vista economico .

I conduttori di locali commerciali infatti si sono trovati nella situazione per cui è stato loro precluso, per legge, l’utilizzo dei locali locati e, conseguentemente, precluso il guadagno derivante dallo svolgimento dell’attività commerciale.

Ebbene, vi è una norma del Codice Civile, e cioè l’art. 1467 Cod. Civ., che regolamenta la modifica dei rapporti contrattuali, per l’eccessiva onerosità sopravvenuta, imprevedibile al tempo della stipula del contratto.

L’art. 1467 C.C. stabilisce : “Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica” (e quindi nei contratti di locazione) …….. “se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa, per il verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili, la parte che deve tale prestazione, può domandare la risoluzione del contratto” ……. “la parte contro la quale è demandata la risoluzione, può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”

E’ presumibile però che i conduttori non abbiano interesse a chiedere la risoluzione del contratto.

Ciò infatti significherebbe dover lasciare il locale preso in locazione (il negozio, l’ufficio).

Il conduttore dovrebbe quindi chiedere la risoluzione del contratto e sperare che il locatore, per scongiurare la risoluzione del contratto, proponga una modifica in via equitativa (peraltro temporanea) del canone di locazione.

Nulla vieta, tuttavia, che il conduttore, senza richiedere l’estremo rimedio della risoluzione del contratto, provi a richiedere al locatore la riduzione, temporanea, del canone, (senza la formalità della preventiva richiesta di risoluzione contrattuale).

La adesione del locatore è rimessa però alla sua discrezionalità.

Vi è da dire infine che la domanda di riduzione temporanea del canone, se può apparire giustificata nelle locazioni ad uso non abitativo (ove il conduttore non ha potuto usufruire dell’immobile per imposizione legislativa) non appare altrettanto giustificata nelle locazioni ad uso abitativo, ove invece i conduttori hanno usufruito pienamente, in tale periodo, dell’immobile locato.

Si ricorda infine che l’art. 65 del decreto legge 18/2020 denominato “Cura Italia” ha previsto non la sospensione del pagamento dei canoni di locazione, bensì un credito d’imposta pari al 60% del canone, solo però se effettivamente versato. Ciò peraltro, al momento, vale solo per il canone del mese di marzo 2020 e per gli immobili di categoria catastale C/1 (negozi e botteghe). Pare però che tale agevolazione venga a breve prevista anche per il mese di aprile 2020.

I conduttori di immobili ad uso non abitativo, pertanto, se da un lato devono pagare il canone di locazione senza poter godere dell’immobile, potranno beneficiare di questa forma di aiuto da parte dello Stato.

Vi è da ricordare infine che, qualora locatore e conduttore si accordassero per la riduzione temporanea del canone di locazione, per la sopravista “eccessiva onerosità” sopravvenuta, essi dovranno regolamentare il proprio accordo, con una scrittura privata che dovrà essere registrata all’Agenzia delle Entrate, nel termine di 30 giorni.

Responsabilità delle Autostrade per danni causati da oggetti sulla sede stradale

Capita spesso che le nostre auto subiscano danni perché urtano grossi oggetti presenti sulla sede stradale.

A chi si può chiedere il risarcimento dei danni in tali casi? Quando si può parlare di responsabilità delle autostrade ?

L’art. 2051 Cod. Civ. stabilisce “ciascuno è responsabile dei danni cagionati dalle cose che ha in custodia” e quindi tale norma stabilisce una presunzione di responsabilità.

La Soc. Autostrade ha la custodia dell’autostrada e quindi, se si verifica un danno, si può presumere la sua responsabilità.

Occorre però anche ricordare che l’art. 2051 C.C. prosegue affermando: “salvo che si provi il caso fortuito”.

La Giurisprudenza della Cassazione ha affermato che si può ritenere che il danno derivi dal “caso fortuito” quando il danno è stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee, create da terzi, le quali, nemmeno con l’uso della ordinaria diligenza, potevano essere tempestivamente rimosse.

Nel caso di danni causati da urti contro oggetti  presenti sulla sede autostradale, l’oggetto potrebbe esser stato perso da terzi (e cioè da qualche veicolo in transito), pochi istanti prima dell’urto.

In tali casi la Società Autostrade non potrebbe essere considerata responsabile essendo il fatto attribuibile al caso fortuito e cioè ad una situazione “estrinseca alla sfera d’influenza della Soc. Autostrade poiché creata da terzi in tempi rapidi”.

La responsabilità della Soc. Autostrade può esser ravvisata, in tali casi, solo nell’ipotesi in cui il danneggiato riesca a provare che l’oggetto (sebbene perso da terzi) si trovava da tempo sulla sede stradale, e che, la Società Autostrade, benchè avvertita  non era tempestivamente intervenuta a rimuoverlo.

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Esiste invece la responsabilità della Soc. Autostrade, ogni qualvolta  si verifica un danno causato da una buca del manto autostradale, da un calcinaccio che cade  staccandosi dalla volta di una galleria, ecc..

In tali casi infatti la Società Autostrade, che ha la custodia della strada e delle gallerie, è responsabile perché non ha provveduto ad una diligente custodia e manutenzione dei beni sottoposti alla sua sorveglianza.

La responsabilità medica

La Corte di Cassazione (con sentenza 8826/2007), poi confermata dalle Sez. Unite (577/2008),  ha riassunto i punti chiave della responsabilità civile professionale del medico (responsabilità medica) ed ha stabilito che  la responsabilità del medico trova fondamento nel c.d.contatto sociale, “fonte di un rapporto che ha ad oggetto una prestazione che si modella su quella del contratto d’opera professionale”.

In sostanza, “la responsabilità, sia del medico che dell’ente ospedaliero, trova titolo nell’inadempimento delle obbligazioni ai sensi degli articoli 1218 ss. Cc (v. Cassazione, 9085/06; Cassazione, 11488/04; Cassazione, 3492/02; Cassazione, 589/99).

-Si tratta quindi di una responsabilità contrattuale.

Oneri probatori

La Cassazione a Sezione Unite, (13533/01), in tema di onere della prova dell’inadempimento, ha affermato  che il paziente che agisce in giudizio deve, anche quando deduce l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria, provare solo il contratto ed allegare l’inadempimento del sanitario, restando a carico del debitore (medico o struttura sanitaria) l’onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente, e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa  a sé non imputabile, in quanto determinato da impedimento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta.

Pertanto, in base all’articolo 1218 del Codice Civile, che disciplina la ripartizione, tra le parti di un contratto, dell’onere probatorio,  il paziente – creditore, ha il mero onere di affermare l’esistenza del contratto ed il relativo inadempimento o inesatto adempimento, non essendo tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria e la relativa gravità (da ultimo v. Cassazione, 12362/06; Cassazione, 11488/04).

“Va quindi conseguentemente affermato che, in ogni caso di “insuccesso”, incombe al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione (v. Cassazione, 10297/04; Cassazione 11488/04) (pagg. 38-44).

E’ pur vero che la Corte afferma anche che, in tema di responsabilità del medico per i danni causati al paziente, l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione non possa essere desunta, ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente.

Più precisamente, la Suprema Corte afferma che l’attività del medico oggetto di indagine deve essere valutata alla stregua di doveri oggettivi inerenti allo svolgimento dell’attività professionale. (Cassazione 23918/06).

Secondo la regola sopra ribadita in tema di ripartizione dell’onere probatorìo, provati dal paziente la sussistenza ed il contenuto del contratto, se la prestazione dell’attività non consegue il risultato normalmente ottenibile in relazione alle circostanze concrete del caso, incombe  sul medico (a fortiori ove trattisi di intervento semplice o routinario) dare la prova del verificarsi di un evento imprevedibile e non superabile con l’adeguata diligenza, che ha impedito di ottenere il risultato stesso.

E laddove tale prova non riesca a dare, secondo la regola generale ex articoli 1218 e 2697 CC, il medesimo rimane soccombente.

Responsabilita’ dell’ente pubblico per danni da dissesto delle strade

La norma in virtù della quale viene ravvisata la responsabilità degli enti pubblici per i danni che i cittadini subiscono a causa del dissesto delle strade va individuata nell’art. 2051 del Codice Civile.

Questo stabilisce : “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”

L’ente pubblico (in genere il Comune, ma anche la Provincia o la Regione, nel caso di strade Provinciali o Regionali) pertanto, avendo la custodia delle strade, è responsabile del danno cagionato dalle stesse, (poiché si presuppone che siano state  mal custodite); e può liberarsi da tale responsabilità solo provando che il fatto (e cioè la caduta della persona) è stato  causato da “caso fortuito”.

Tale norma pone una presunzione di responsabilità a carico del custode del Comune superabile solo dalla prova del caso fortuito.

La Giurisprudenza ha precisato poi che, per  “caso fortuito”, deve  intendersi un fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, quanto al profilo causale dell’evento, riconducibile……ad un elemento esterno recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità (ex plurimis Cass. 27/3/2007 n. 7403).

In passato era prevalente un orientamento giurisprudenziale in virtù del quale il danneggiato doveva solo provare l’avvenimento del fatto (e cioè la caduta), la presenza dell’insidia (e cioè la buca ecc.) e il nesso causale (e cioè che la caduta si era verificata a causa della buca ). Ciò era ritenuto sufficiente per ottenere il risarcimento dei danni.

Intorno agli anni 1995-1996, per circa un decennio, la giurisprudenza ha però assunto un atteggiamento più rigoroso.

Non riteneva cioè sufficiente la sola prova dell’avvenimento del fatto, dell’insidia, e del nesso causale, ma richiedeva anche che il danneggiato provasse che la caduta era stata causata da una “insidia o trabocchetto”  e cioè che  il danneggiato provasse anche che  “la buca” fosse oggettivamente inevitabile  e soggettivamente imprevedibile.

Se la “buca”  era visibile, e quindi l’insidia era  prevedibile ed evitabile, veniva escluso il risarcimento.

In generale, poi, si tendeva ad escludere l’applicabilità (agli enti pubblici) del rigido regime di presunzione di responsabilità stabilito dall’art. 2051 Cod. Civ.

Si affermava cioè, che, essendo molto ampio il patrimonio  stradale soggetto alla custodia degli enti pubblici, gli stessi, di fatto, non potessero esercitare una adeguata custodia.

In virtù di tale considerazione si era affermato che l’art. 2051 Cod. Civ. non fosse applicabile agli enti pubblici.

Successivamente, però, si è instaurato nuovamente l’orientamento del passato.

Si è riaffermato, cioè, che anche gli enti pubblici sono soggetti alla disciplina dell’art. 2051 C.C., nonostante l’ampiezza del numero delle strade soggette alla loro custodia.

Si è affermato, di conseguenza, che, stante il tenore letterale dell’art. 2051 C.C., non debba essere il danneggiato a dover provare l’imprevedibilità e l’ inevitabilità dell’insidia.

Ad oggi, quindi, ai fini del risarcimento, è  di nuovo sufficiente provare l’esistenza dell’insidia (una buca, un massello di un marciapiedi non ben ancorato al terreno e che quindi si muove ecc.) e che si è caduti a causa di tale insidia.

Separazioni e divorzi davanti all’avvocato – Comune di Genova

Un utile estratto dal sito del Comune di Genova sul divorzio breve con negoziazione assistita, occorre ricordare che  i termini per divorziare sono stati ridotti a 6 mesi (se la separazione è stata consensuale) e 1 anno (se la separazione è stata giudiziale):

Sorgente: Separazioni e divorzi davanti all’avvocato – Comune di Genova – Avvocato Walter Gregorace