Responsabilità delle Autostrade per danni causati da oggetti sulla sede stradale

Capita spesso che le nostre auto subiscano danni perché urtano grossi oggetti presenti sulla sede stradale.

A chi si può chiedere il risarcimento dei danni in tali casi? Quando si può parlare di responsabilità delle autostrade ?

L’art. 2051 Cod. Civ. stabilisce “ciascuno è responsabile dei danni cagionati dalle cose che ha in custodia” e quindi tale norma stabilisce una presunzione di responsabilità.

La Soc. Autostrade ha la custodia dell’autostrada e quindi, se si verifica un danno, si può presumere la sua responsabilità.

Occorre però anche ricordare che l’art. 2051 C.C. prosegue affermando: “salvo che si provi il caso fortuito”.

La Giurisprudenza della Cassazione ha affermato che si può ritenere che il danno derivi dal “caso fortuito” quando il danno è stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee, create da terzi, le quali, nemmeno con l’uso della ordinaria diligenza, potevano essere tempestivamente rimosse.

Nel caso di danni causati da urti contro oggetti  presenti sulla sede autostradale, l’oggetto potrebbe esser stato perso da terzi (e cioè da qualche veicolo in transito), pochi istanti prima dell’urto.

In tali casi la Società Autostrade non potrebbe essere considerata responsabile essendo il fatto attribuibile al caso fortuito e cioè ad una situazione “estrinseca alla sfera d’influenza della Soc. Autostrade poiché creata da terzi in tempi rapidi”.

La responsabilità della Soc. Autostrade può esser ravvisata, in tali casi, solo nell’ipotesi in cui il danneggiato riesca a provare che l’oggetto (sebbene perso da terzi) si trovava da tempo sulla sede stradale, e che, la Società Autostrade, benchè avvertita  non era tempestivamente intervenuta a rimuoverlo.

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Esiste invece la responsabilità della Soc. Autostrade, ogni qualvolta  si verifica un danno causato da una buca del manto autostradale, da un calcinaccio che cade  staccandosi dalla volta di una galleria, ecc..

In tali casi infatti la Società Autostrade, che ha la custodia della strada e delle gallerie, è responsabile perché non ha provveduto ad una diligente custodia e manutenzione dei beni sottoposti alla sua sorveglianza.

La responsabilità medica

La Corte di Cassazione (con sentenza 8826/2007), poi confermata dalle Sez. Unite (577/2008),  ha riassunto i punti chiave della responsabilità civile professionale del medico (responsabilità medica) ed ha stabilito che  la responsabilità del medico trova fondamento nel c.d.contatto sociale, “fonte di un rapporto che ha ad oggetto una prestazione che si modella su quella del contratto d’opera professionale”.

In sostanza, “la responsabilità, sia del medico che dell’ente ospedaliero, trova titolo nell’inadempimento delle obbligazioni ai sensi degli articoli 1218 ss. Cc (v. Cassazione, 9085/06; Cassazione, 11488/04; Cassazione, 3492/02; Cassazione, 589/99).

-Si tratta quindi di una responsabilità contrattuale.

Oneri probatori

La Cassazione a Sezione Unite, (13533/01), in tema di onere della prova dell’inadempimento, ha affermato  che il paziente che agisce in giudizio deve, anche quando deduce l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria, provare solo il contratto ed allegare l’inadempimento del sanitario, restando a carico del debitore (medico o struttura sanitaria) l’onere di dimostrare che la prestazione è stata eseguita in modo diligente, e che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa  a sé non imputabile, in quanto determinato da impedimento non prevedibile né prevenibile con la diligenza nel caso dovuta.

Pertanto, in base all’articolo 1218 del Codice Civile, che disciplina la ripartizione, tra le parti di un contratto, dell’onere probatorio,  il paziente – creditore, ha il mero onere di affermare l’esistenza del contratto ed il relativo inadempimento o inesatto adempimento, non essendo tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria e la relativa gravità (da ultimo v. Cassazione, 12362/06; Cassazione, 11488/04).

“Va quindi conseguentemente affermato che, in ogni caso di “insuccesso”, incombe al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione (v. Cassazione, 10297/04; Cassazione 11488/04) (pagg. 38-44).

E’ pur vero che la Corte afferma anche che, in tema di responsabilità del medico per i danni causati al paziente, l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione non possa essere desunta, ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente.

Più precisamente, la Suprema Corte afferma che l’attività del medico oggetto di indagine deve essere valutata alla stregua di doveri oggettivi inerenti allo svolgimento dell’attività professionale. (Cassazione 23918/06).

Secondo la regola sopra ribadita in tema di ripartizione dell’onere probatorìo, provati dal paziente la sussistenza ed il contenuto del contratto, se la prestazione dell’attività non consegue il risultato normalmente ottenibile in relazione alle circostanze concrete del caso, incombe  sul medico (a fortiori ove trattisi di intervento semplice o routinario) dare la prova del verificarsi di un evento imprevedibile e non superabile con l’adeguata diligenza, che ha impedito di ottenere il risultato stesso.

E laddove tale prova non riesca a dare, secondo la regola generale ex articoli 1218 e 2697 CC, il medesimo rimane soccombente.

Responsabilita’ dell’ente pubblico per danni da dissesto delle strade

La norma in virtù della quale viene ravvisata la responsabilità degli enti pubblici per i danni che i cittadini subiscono a causa del dissesto delle strade va individuata nell’art. 2051 del Codice Civile.

Questo stabilisce : “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”

L’ente pubblico (in genere il Comune, ma anche la Provincia o la Regione, nel caso di strade Provinciali o Regionali) pertanto, avendo la custodia delle strade, è responsabile del danno cagionato dalle stesse, (poiché si presuppone che siano state  mal custodite); e può liberarsi da tale responsabilità solo provando che il fatto (e cioè la caduta della persona) è stato  causato da “caso fortuito”.

Tale norma pone una presunzione di responsabilità a carico del custode del Comune superabile solo dalla prova del caso fortuito.

La Giurisprudenza ha precisato poi che, per  “caso fortuito”, deve  intendersi un fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, quanto al profilo causale dell’evento, riconducibile……ad un elemento esterno recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità (ex plurimis Cass. 27/3/2007 n. 7403).

In passato era prevalente un orientamento giurisprudenziale in virtù del quale il danneggiato doveva solo provare l’avvenimento del fatto (e cioè la caduta), la presenza dell’insidia (e cioè la buca ecc.) e il nesso causale (e cioè che la caduta si era verificata a causa della buca ). Ciò era ritenuto sufficiente per ottenere il risarcimento dei danni.

Intorno agli anni 1995-1996, per circa un decennio, la giurisprudenza ha però assunto un atteggiamento più rigoroso.

Non riteneva cioè sufficiente la sola prova dell’avvenimento del fatto, dell’insidia, e del nesso causale, ma richiedeva anche che il danneggiato provasse che la caduta era stata causata da una “insidia o trabocchetto”  e cioè che  il danneggiato provasse anche che  “la buca” fosse oggettivamente inevitabile  e soggettivamente imprevedibile.

Se la “buca”  era visibile, e quindi l’insidia era  prevedibile ed evitabile, veniva escluso il risarcimento.

In generale, poi, si tendeva ad escludere l’applicabilità (agli enti pubblici) del rigido regime di presunzione di responsabilità stabilito dall’art. 2051 Cod. Civ.

Si affermava cioè, che, essendo molto ampio il patrimonio  stradale soggetto alla custodia degli enti pubblici, gli stessi, di fatto, non potessero esercitare una adeguata custodia.

In virtù di tale considerazione si era affermato che l’art. 2051 Cod. Civ. non fosse applicabile agli enti pubblici.

Successivamente, però, si è instaurato nuovamente l’orientamento del passato.

Si è riaffermato, cioè, che anche gli enti pubblici sono soggetti alla disciplina dell’art. 2051 C.C., nonostante l’ampiezza del numero delle strade soggette alla loro custodia.

Si è affermato, di conseguenza, che, stante il tenore letterale dell’art. 2051 C.C., non debba essere il danneggiato a dover provare l’imprevedibilità e l’ inevitabilità dell’insidia.

Ad oggi, quindi, ai fini del risarcimento, è  di nuovo sufficiente provare l’esistenza dell’insidia (una buca, un massello di un marciapiedi non ben ancorato al terreno e che quindi si muove ecc.) e che si è caduti a causa di tale insidia.

Danno cagionato da cose in custodia

L’art. 2051 c.c. recita: ”Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.”

La più recente giurisprudenza di legittimità statuisce che “la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo e, ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa (e, perciò, anche per le cose inerti) e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza.” (Cass. Civ. 18 Giugno 1999, n.6121; Cass. Civ. 30 Marzo 2007, n. 7934; Cass. Civ. 3 febbraio 2006, n.2284). E‘ stato altresì precisato che “il dovere di controllo e di custodia, posto dall’art. 2051 c.c., sussiste anche in relazione alle cose inerti e prive di un proprio dinamismo, ben potendo essere anch’esse idonee a cagionare il danno.” (Cass. Civ. 26 settembre 2006, n. 20825; Cass. Civ. 20 Febbraio 2006, n.4401; Cass. Civ. 20 febbraio 2006, n. 3651).

Quanto alla prova liberatoria di cui all’art. 2051 c.c., la giurisprudenza di Cassazione ha maturato negli anni un atteggiamento decisamente rigoroso. Esemplificativa di questa tendenza è la massima secondo cui “la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c., per i danni cagionati da cose in custodia…, è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, quanto al profilo causale dell’evento, ma ad un elemento esterno recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità ( Cass. Civ. 27 Marzo 2007, n. 7403; Cass. Civ. 6 febbraio 2007, n. 2563). In termini ancor più stringenti, si veda poi Cass. 29/9/2006 n. 21244 “ l’art. 2051 c.c. determina un’ipotesi caratterizzata da un criterio di inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del custode la possibilità di liberarsi dalla presunzione di responsabilità a suo carico mediante la liberatoria del fortuito… rimanendo sul custode il rischio del fatto ignoto.”